Diritto al cibo come diritto di pace
A cura di Avvocato Giorgia Antonia Leone
Interessante è l’interdipendenza che si può instaurare tra il ‘diritto al cibo ’ ed il ‘diritto alla pace’ e riconoscere quanto e come quest’ultimo possa essere condizionato dal primo, partendo dal presupposto comune che essi sono entrambi diritti umani fondamentali a cui si collegano scelte politico-economiche a livello mondiale.
Il diritto al cibo, innanzitutto, è un diritto umano fondamentale, come si evince dalla ‘Dichiarazione universale dei diritti umani’ (1948) delle Nazioni Unite.
Infatti, “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione…” (art. 25).
Questo diritto è stato riaffermato dall’ONU nel 1966 attraverso il Patto sui diritti economici sociali e culturali in cui si pone in evidenza il diritto di ogni persona ad un alimentazione adeguata, in quanto ogni essere umano ha diritto a non soffrire la fame.
Il Vertice mondiale sull’alimentazione, organizzato dalla FAO, che si tenne a Roma nel 1996, sostenne appieno il diritto ad avere accesso al cibo ed il diritto alla libertà dalla fame.
Il diritto al cibo è riconosciuto e protetto in alcuni accordi internazionali quali le Convenzioni ed i Protocolli addizionali in tempo di guerra e la Convenzione del 1989 sui diritti dell’infanzia rispetto ai bambini.
Tale diritto è stato poi ribadito con una posizione prioritaria, nel 2000, anche attraverso la Dichiarazione contenente gli obiettivi di sviluppo del millennio, che lo ha voluto al primo posto tra gli obiettivi da raggiungere entro il 2015.
Col successivo Vertice mondiale sull’alimentazione, nel 2002, si è ulteriormente affermato il diritto al safe and nutritious food definendosi la sicurezza alimentare (Reg. CE 178/2002) come responsabilità comune dell’umanità.
Fondamentale è il ruolo di coordinamento della FAO quando vi sono emergenze alimentari, per la lotta contro la malnutrizione nel mondo e lo sradicamento della povertà, sul presupposto che il diritto al cibo non è solo un diritto individuale ma anche collettivo, che interseca più interessi.
Nel corso degli ultimi anni, a tutt’oggi, la comunità internazionale si è sempre espressa in favore di una totale garanzia del diritto al cibo e all’alimentazione ed in forza degli articoli 1, 55 e 56 della Carta dell’ONU gli Stati membri hanno assunto l’impegno giuridicamente vincolante di rispettare, proteggere, promuovere e cooperare per l’osservanza dei diritti umani che sono stati enunciati anche in altri atti internazionali.
Il diritto al cibo, come appunto diritto umano fondamentale, è riconosciuto oltre che da disposizioni giuridiche internazionali anche da circa 100 Costituzioni nel mondo, di cui solo alcune, però, proteggono tale diritto in modo diretto.
In Italia non esiste un’autonoma formulazione del diritto costituzionale al cibo, ma la Costituzione italiana già protegge indirettamente il cibo mediante l’adesione ai Trattati internazionali che lo garantiscono ed attraverso il richiamo indiretto di altri principi di rango costituzionale come, ad esempio, il principio di ‘dignità umana’ e quello di ‘dignità sociale’.
Da una recente proposta di legge, presentata alla camera dei Deputati il 6 Marzo 2020, in materia di food crimes ci si sta avviando verso un riconoscimento sempre più specifico del patrimonio agro alimentare come bene giuridico meritevole di tutela diretta e distinta.
Il diritto al cibo è nato e si è sempre più radicato, nel corso degli anni, fondandosi sulla consapevolezza che i problemi della carenza di cibo sono sovente e prevalentemente determinati da scelte e pratiche politiche, che producono diseguaglianze economiche, sociali e culturali, oltre che qualche volta da eventi o catastrofi naturali.
Pertanto, si discute di ‘diritto al cibo ’ in relazione sempre a due macro temi, che sono: da un lato, la ‘Sicurezza alimentare’ intesa come food security ossia la sicurezza economico-sociale di disporre di cibo a sufficienza per vivere e, perciò, garantire a chiunque e sempre una quantità di cibo sufficiente, oltre che sano, sicuro (safety food) e nutriente, e, poi, la ‘Sovranità alimentare’, intesa invece come la possibilità per ciascun popolo di decidere, economicamente e socialmente, il proprio sistema alimentare e produttivo.
In una logica di rispetto del diritto al cibo, va considerato che al centro della ‘Sovranità alimentare’ ci devono essere sempre le persone e non le politiche, ciò al fine di fare in modo che tutti possano avere un cibo sano, nutriente e culturalmente appropriato.
In questo senso ci si può in concreto avviare verso un principio di ‘pace alimentare’, strettamente collegato alla sicurezza alimentare.
La pace di per sé, alla stregua del cibo, è un altro diritto umano fondamentale della persona e dei popoli.
In base all’Articolo 28 della citata Dichiarazione Universale dei Diritti Umani : “Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati”.
La pace, evidentemente, non è solo un’esigenza etica ma essa rappresenta una necessità concreta, a cui deve corrispondere l’obbligo giuridico per tutti i popoli di operare costantemente e coerentemente per la sua effettiva attuazione.
Attraverso i vertici organizzati dalla FAO, gli Stati si sono impegnati a predisporre le migliori condizioni per lo sradicamento della povertà e per prevenire e risolvere i conflitti anche in ordine alla ‘insicurezza alimentare’ al fine di garantire pacificamente il diritto al cibo.
La carenza o scarsità alimentare di un popolo può innescare, purtroppo, situazioni suscettibili di mettere in pericolo la pace e come tali vengono prese in considerazione dalle norme della Carta dell’ONU (art. 34, 35, 36).
Si pensi, ad esempio, ai noti casi in cui le guerre hanno innescato catastrofi alimentari come in Iraq (1991), ex-Jugoslavia (1999), Afghanistan (2001). I bombardamenti provocarono gravi inquinamenti
delle acque e delle terre coltivabili, comportando l’interruzione delle operazioni di aiuto alimentare per molti giorni, con conseguenti danni permanenti di valore inestimabile.
Il requisito della pericolosità per la pace in caso di controversia che sorge nell’ambito alimentare può essere interpretata anche in relazione all’art. 39 della Carta dell’ONU, nel senso che si tratti di controversie di una specifica categoria o situazioni che possono generare una minaccia alla pace o una violazione della pace.
Secondo l’art. 55, l’ONU promuove un più elevato tenore di vita delle popolazioni, il progresso economico e sociale, la soluzione dei problemi economici interni ed internazionali basati sullo spirito associativo.
I Protocolli aggiuntivi della Convenzione di Ginevra per la tutela delle popolazioni civili stabiliscono che: “é proibito attaccare, distruggere, rendere inutilizzabili oggetti indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile come alimenti, colture, installazioni idriche (…)”.
Nell’ottica di cibo per la pace, e non viceversa, si ricorda, ad esempio, negli Stati Uniti un programma, che ha fornito assistenza alimentare in tutto il mondo per più di 50 anni, attraverso uno specifico Ufficio di Food for Peace all’interno della Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), che è ad oggi il più grande fornitore di assistenza alimentare all’estero.
Da un altro punto di vista, per finire, va detto anche che il cibo può essere un efficace strumento di pace quando, secondo la logica del’U.E., si riconosca un ‘cibo giusto e solidale’ in tutte le sue fasi, ossia ‘from farm to fork’.
Nella produzione, per esempio, salvaguardando i diritti dei braccianti, dei piccoli produttori, dei Paesi che possano recuperare la propria sovranità alimentare. Nella distribuzione, invece, evitando gli sprechi alimentari, tenuto altresì conto che la iniqua distribuzione del cibo determina ingenti morti o malattie all’anno per effetto della malnutrizione, ma anche per la iperalimentazione (ad esempio: malattie cardiovascolari, tumori…).
In questo senso si rimanda all’interessante lettura, sul sito ufficiale dell’U.E. in ordine alla recente Strategia europea sulla biodiversità: l’Europa sta andando, almeno sulla carta, verso un approccio sempre più orientato alla biodiversità, prevedendo, entro il 2030, la riduzione dell’impatto ambientale, per realizzare un’economia più sicura, sana e solidale, appunto, anche sotto il profilo del contenimento dello spreco alimentare. Tutto ciò in linea col Product Environmental Footprint realizzato nel 2016, allo scopo di potenziare l’ecologia dei sistemi produttivi regionali agroalimentari del Mediterraneo tramite interventi di eco innovazione.
In conclusione, argomenti quali il diritto al cibo, il diritto alla pace, nello specifico anche alimentare ed il conseguente diritto ad una produzione di alimenti sempre più solidalmente sostenibile, possono essere in effetti tra di loro interdipendenti, laddove il primo punto di contatto, più apparente, è il fatto che ‘cibo e pace’ nella veste di ‘diritti’ appartengano alla categoria dei diritti umani fondamentali, ossia a quei diritti essenziali riconosciuti all’uomo, preposti a salvaguardare la dignità di ciascun individuo, senza alcuna distinzione che possa essere causa di qualsivoglia discriminazione e la cui tutela dev’essere assicurata a prescindere dal contesto.