COSA SONO LE BIOMASSE FORESTALI E PERCHE’ DISTRUGGONO LE FORESTE
INCHIESTA DELLA GIORNALISTA LUDOVICA JONA
Vi siete mai chiesti cosa sono le biomasse forestali? Da dove arriva il legno che brucia a migliaia di Tonnellate nelle centrali a biomasse che producono energia elettrica? Perché si continuano a tagliare boschi, mentre si raccomanda di piantare alberi per arrestare il riscaldamento del clima? L’inchiesta di Ludovica Jona “L’affare dei tagli boschivi”, andata in onda su Rai News, prova a far luce sul taglio dei boschi italiani alimentato dagli incentivi pubblici. Cosa sono le biomasse forestali
Le biomasse forestali, o biomasse legnose, sono ritenute dall’Unione Europea un’energia rinnovabile. Un paradosso, visto che si parla di taglio degli alberi. Il legno che viene cippato e poi bruciato in centrale è ritenuto energia rinnovabile dalla Commissione Europea perché gli alberi hanno il potere di crescere di continuo e di rinnovarsi, ma i tempi di crescita di un albero non sono certo compatibili con le quantità necessarie per tenere accesa una centrale elettrica. Le biomasse legnose quindi ricevono incentivi economici in quanto fonti rinnovabili, e senza questi incentivi non verrebbero utilizzate perché non economicamente convenienti.
Il lavoro di Ludovica Jona, nell’inchiesta “L’affare dei tagli boschivi” è stato molto prezioso perché ha ricostruito questa filiera del legno. Ludovica ha percorso a ritroso la strada dei tronchi da bruciare, ha analizzato con cura dati e documenti per scoprire l’enorme quantità di alberi che ogni anno vengono abbattuti in Italia, e poi cippati per alimentare le centrali a biomasse. Qui di seguito potete leggere il suo diario di viaggio, un lavoro iniziato nel 2021 e durato circa un anno. Ringraziamo Ludovica per aver voluto approfondire l’argomento, e per averlo condiviso con i lettori del Bosco di Ogigia. L’inchiesta di Ludovica Jona tra Calabria e Toscana
Quando in un aperitivo di inizio estate, poco più di un anno fa, Filippo Bellantoni, collega giornalista e co-autore del Bosco di Ogigia, ha cominciato a parlarmi dell’energia prodotta bruciando legna, e del problema del disboscamento da essa causato, non avevo mai sentito parlare di biomasse forestali.
Ovvero di legna ridotta in trucioli per alimentare centrali a energia elettrica, oppure per produrre pellet per stufe. Documentandomi sul web, ho trovato posizioni contrastanti sul tema. Da un lato le aziende della filiera delle biomasse legnose reclamizzano il pellet e il cippato (legna ridotta in scaglie) come fonti di energia rinnovabile (perché gli alberi ricrescono) e “green”, affermando che questi prodotti derivano principalmente dall’utilizzo di “scarti derivanti manutenzione boschiva”. Dall’altro lato, alcune associazioni ambientaliste come i Gufi (Gruppo Unitario per le Foreste Italiane) e Greenpeace, insieme a decine di altri gruppi europei, denunciano che questa fonte di energia – qualificata “rinnovabile” dalla Commissione Europea e quindi fortemente incentivata dagli Stati membri – minacci le foreste europee.
Biomasse forestali e incentivi in Italia
In Europa la bioenergia rappresenta circa il 60% delle energie “rinnovabili”, in Italia circa il 15%. La finanziamo tutti attraverso le nostre bollette, insieme a eolico e fotovoltaico. Secondo i dati ottenuti dal Gse (Gestore dei Servizi Elettrici) dopo una richiesta di accesso agli atti, i sussidi andati alle aziende produttrici di biomasse legnose in Italia sono stati € 383,5 milioni nel 2019 e € 268,5 nel 2020. A questi soldi si aggiungono gli incentivi dati alle macchine cippatrici – ovvero che trasformano tronchi di alberi in scaglie di legno – e quelli che, da oltre 10 anni, il nostro Stato eroga per sovvenzionare le stufe a pellet, rendendo l’Italia il maggior consumatore al mondo di questo combustibile.
Da giornalista d’inchiesta ho deciso di lavorare su questo tema. Ma da dove cominciare per capire quale delle due posizioni, tra quella delle imprese della bio-energia e quella delle associazioni per la difesa delle foreste, fosse più corretta? Bisognava trovare dati, e tentare di seguire il flusso del legno. Cosa tutt’altro che facile, poiché quando il legno è fuori dalla foresta nessuno può più dire se si trattava di alberi tagliati illegalmente o legalmente. Quando è ridotto in scaglie nessuno può capire se sia stato ricavato da residui di lavorazioni oppure da alberi sani.
I sussidi andati alle aziende produttrici di biomasse legnose sono stati € 383,5 milioni nel 2019 e € 268,5 nel 2020.
I tagli boschivi in Toscana
La prima tappa della video-inchiesta “L’affare dei tagli boschivi” è stata in Toscana, la regione italiana con la più ampia superficie boscata, precisamente in due località dove attivisti locali hanno denunciato che tagli boschivi hanno danneggiato l’ecosistema. Nell’area protetta della Montagnola Senese il portavoce del WWF Siena, Martino Danielli, ci ha portato nel bosco dove nel 2019 è stato realizzato un taglio da ditte appaltate dalla Duferco Biomasse, una delle più importanti aziende boschive, che fornisce centrali in Calabria e Sardegna.
Danielli ci ha mostrato come dopo 2 anni il suolo sia ancora devastato, e poco sia ricresciuto. Per l’attivista la responsabilità è degli enormi mezzi meccanici che tagliano alberi e cippano la legna: “Sono mezzi giganteschi che un tempo non venivano utilizzati. Possono arrampicarsi su pendenze molto molto forti. Provocano però un processo di devastazione del suolo e della biodiversità”. Nel documentario Danielli mostra come questo è avvenuto, toccando anche l’alveo fluviale. Il rappresentante del WWF Siena indica la causa della devastazione nella produzione industriale di biomassa legnosa, quella sviluppata, a partire dal 2009, grazie ai sussidi pubblici: “Un tempo c’era una produzione molto limitata perché le aziende erano locali. Ora sono arrivate ditte esterne che non hanno radici, non hanno la cultura del bosco. Il bosco è visto esclusivamente come una possibilità di fare denaro, di fare lucro”.
La riserva della Val di Farma
Dopo la provincia di Siena ci siamo recati in quella di Grosseto, e più precisamente nella riserva della Val di Farma. Il comitato locale ha denunciato come nel bosco del Belagaio un taglio effettuato da un’azienda, che vende cippato a centrali elettriche alimentate a biomasse legnose, abbia violato le norme forestali. Ad esempio, nonostante il bando della locale Unione delle Colline Metallifere avesse vietato il taglio di castagni, diversi di questi alberi ultracentenari sono stati abbattuti. Fenomeni di dissesto idrogeologico seguiti al taglio sono stati documentati dagli attivisti locali con video impressionanti girati con il telefonino, che mostriamo nella video-inchiesta.
Da un articolo pubblicato dal giornale locale Il Tirreno, ho scoperto che la titolare dell’azienda che ha effettuato il taglio è stata rinviata a giudizio insieme a un funzionario dell’Unione dei comuni delle colline metallifere. Questo significa che un giudice ha ritenuto che il taglio possa aver violato le norme forestali. Nonostante ciò, all’azienda è stata di recente rinnovata la certificazione di sostenibilità ambientale Pefc. Solo dopo l’intervista al presidente di Pefc Italia, realizzata per il documentario, la ditta è stata sospesa per tre mesi.
Per capire dove va la legna tagliata in Toscana da ditte specializzate in biomasse legnose, ho inviato richieste alle Capitanerie di porto, scoprendo che dai porti di Livorno e Piombino provengono oltre metà delle navi di cippato giunte nel 2021 in Calabria (Crotone), Sardegna (Porto Vesme) e Sicilia (Augusta), per alimentare le locali centrali a biomasse. Le altre navi sono partite da Chioggia, Civitavecchia, Savona e Puglia. Si tratta nel complesso di 70 navi da circa 5000 Ton di cippato. Solo il cippato trasportato via mare ammonta dunque a 350.000 Ton di legna l’anno. Ma quello bruciato è molto di più, infatti, nella sola Calabria, dove ci sono ben 5 impianti che producono energia da biomasse legnose, si brucia oltre 1 milione Ton di legna l’anno. Solo il cippato trasportato via mare ammonta a 350.000 tonnellate di legna ogni anno.
Le biomasse in Calabria
La tappa successiva della video-inchiesta è stata dunque la Calabria. Nel cuore del parco nazionale del Pollino, sito patrimonio dell’Unesco tra Calabria e Basilicata, c’è la centrale del Mercure, uno dei più grandi impianti a biomasse legnose del nostro Paese, recentemente acquistato dal gruppo Sorgenia Bioenergie. L’impianto è alimentato da biomasse provenienti per il 60% da Calabria e Basilicata, e per il resto da altre regioni Italiane.
Qui, Ferdinando Laghi, attuale vice-presidente Isde, Medici per l’Ambiente, ci ha spiegato l’impatto di questi impianti sulla salute di chi vive attorno alle centrali: “Oltre alla produzione di gas climalteranti che contribuiscono all’effetto serra, ci sono effetti nocivi dati dal particolato fine e ultra-fine, le c.d. micro e nano-polveri, che proprio per le dimensioni: 1,1⁄2 ,1/10 micron e così via, non possono essere intercettate dai filtri normalmente utilizzati”. “Questa centrale, nel solo 2016 ha dato utili per € 49 milioni, di cui incredibilmente solo 10 milioni da produzione di energia e 39 milioni da sussidi pubblici, ha detto Laghi, quindi noi abbiamo pagato perché una meraviglia come il Parco del Pollino fosse inquinato e le popolazioni avessero rischi alla salute”.
Nella sola Calabria ci sono ben 5 impianti che producono energia da biomasse legnose, si brucia circa 1 milione di Ton di legna ogni anno. Biomasse forestali e salute delle persone
Il problema per la salute riguarda in particolar modo la provincia di Crotone, dove sono concentrati ben 3 impianti a biomasse legnose, tra cui, a Strongoli, quello più grande d’Italia. Vicino a questa centrale vive Otello, un pensionato e piccolo coltivatore che negli anni passati, con alcuni vicini, ha denunciato la dirigenza della centrale per la quantità di polveri prodotte e per i rumori assordanti.
Per tutta risposta, lui e gli altri che hanno sporto denuncia hanno ricevuto a loro volta una denuncia da parte della dirigenza di Biomasse Italia per aver inquinato il territorio con le fosse settiche. La causa contro i piccoli coltivatori è ancora in corso, mentre a poche decine di metri dall’enorme impianto a biomasse ci sono una scuola elementare e una materna, nonostante l’azienda sanitaria provinciale abbia chiesto di spostarle in altro luogo già 10 anni fa. Dalle ricerche effettuate, emerge che tra il 60 % e l’80 % del fatturato di questa centrale proviene da fondi pubblici. I soldi che paghiamo in bolletta per finanziare le “rinnovabili”.
La petizione contro gli incentivi alle biomasse legnose
Il 13 settembre l’Europarlamento voterà se continuare a qualificare come rinnovabile l’energia prodotta bruciando alberi. Per chiedere agli europarlamentari di fermare gli incentivi all’energia da biomasse legnose, Forest Defenders Alliance ha lanciato questa petizione.
Ludovica Jona